Mi perdonerete se ho scomodato Diderot, ma non ho pensato altro titolo che potesse, in qualche modo, cogliere il senso del della mia riflessione.
L’idea di uno psicologo che si offre di aiutare le persone in spiaggia, come riportato da alcune testate e dall’richiamo da parte dell’Ordine Degli Psicologi a un “esercizio collettivo di responsabilità e consapevolezza, oltre che un consapevole rigore” è, al di là delle buone intenzioni dichiarate, un chiaro esempio di inautenticità e manipolazione. Non si tratta solo di un’azione priva di metodo, ma di una vera e propria banalizzazione della psicologia, che si riduce a uno spettacolo estivo. Questo tipo di iniziativa non ha nulla a che fare con la buona volontà di sensibilizzare le persone sulla salute mentale o sull’importanza della cura di sé. Al contrario, si configura come un atto manipolatorio che sfrutta il momento di svago per avvicinare possibili pazienti, svuotando il concetto di psicologia dalla sua vera essenza: un intervento serio, scientifico e rispettoso della complessità della persona. La proposta di offrire consulenze psicologiche in un contesto così pubblico e improvvisato non è un gesto altruista o sensibile, come qualcuno vuole, o si sforza di bypassare, ma una strategia che si nutre dell’ingenuità o semplice modalità per prendere alla leggera le proprie questioni esistenziali, facendo leva sulla loro vulnerabilità in un momento di disimpegno. Promuovere l’idea che si possa trattare il disagio o la sofferenza psicologica o la promozione del benessere mentale tra un bagno al mare e un cocktail sotto l’ombrellone è ridicolo e pericoloso, oltre che irresponsabile. Lo psicologo che sceglie di “intercettare” il pubblico in un contesto del genere non sta facendo nulla di positivo per la salute mentale della collettività. Al contrario, sta sfruttando l’assenza di un vero rapporto professionale per ottenere visibilità, approfittando di un pubblico che non ha la consapevolezza di cosa significa realmente l’intervento psicologico, alimentando paradossalmente la disinformazione. Tantomeno ne è consapevole lo stesso professionista, evidentemente. Il fine dell’iniziativa appare inautentico: non è quello di sensibilizzare realmente la cittadinanza, ma, pur inconsapevolmente, voglio essere benevolo, di svuotare la psicologia della sua dimensione complessa e profonda, riducendola a un’attività superficiale che non ha alcuna attinenza con la cura del benessere psicologico. Evidentemente tutto questo dice del professionista, indubbiamente! Tuttavia tali fenomeni non ci assolvono da necessarie riflessioni! La psicologia non è un contenuto di intrattenimento, né un servizio di pronta consegna per i problemi emotivi o “vomitoio” delle proprie vicissitudini. È una scienza, intesa come scienza dell’esperienza, rigorosa che, per essere efficace, necessita di tempo, ascolto attivo della storia dell’altro, uno spazio e una relazione di fiducia che non si costruisce in un contesto pubblico e casuale. Altrimenti sono chiacchiere da bar! Dal punto di vista deontologico, come riportato dall’ordine degli psicologi, questa iniziativa solleva gravi questioni etiche, oltre che, appunto, motivate riflessioni. La deontologia professionale degli psicologi stabilisce che ogni intervento deve rispettare i principi fondamentali di competenza, riservatezza e tutela della persona. Interventi psicologici in un ambiente pubblico, senza garanzie di privacy, riservatezza e sostegno adeguato, sono una violazione grave delle linee guida professionali. La relazione terapeutica richiede una preparazione che non si può improvvisare in spiaggia, trasformando quel momento in un vortice di chiacchiere dove il fine ultimo è sconosciuto anche allo stesso professionista. Offrire consulenza psicologica in questi contesti, rappresenta un abominio etico che non può essere giustificato da nessuna buona intenzione. Da considerare inoltre, quanto questo possa danneggiare la reputazione generale ed ostacolare la fiducia e collaborazione con altri professionisti della salute mentale. La psicologia, in quanto professione regolata, merita rispetto e rigore. Quando un professionista scende a compromessi con la serietà della disciplina, si abbassa il livello di fiducia che la collettività ha nei confronti della professione, alimentando un clima di disinformazione e confusione. In questo contesto, non possiamo non menzionare un altro fenomeno altrettanto preoccupante: l’invasione dei social media da parte di psicologi che, per inseguire la popolarità, pubblicano video e contenuti banali, pieni di senso comune, che nulla hanno a che vedere con la complessità psicologica della nostra esistenza. È un filone di “psicologia” che, purtroppo, sta dilagando online. Questi contenuti semplificano e riducono tematiche complesse a slogan facilmente digeribili, ma completamente inadeguati ad affrontare il tema della responsabilità della cura di Sé. Il rischio è che il pubblico, abituato a questi video a portata di clic, possa perdere il contatto con l’autenticità e la serietà della psicologia come disciplina. Ogni individuo ha una propria storia, un proprio vissuto, e ridurre i disturbi, disagi e sofferenze o promuovere il benessere mentale a semplici consigli da social media è un atto irrispettoso, che svaluta il valore della sofferenza e della crescita personale. Questo tipo di divulgazione erronea è altamente dannoso e rischia di far perdere fiducia nelle vere terapie, che richiedono competenza, ascolto e metodo. La manipolazione che si sta verificando è un danno non solo alla credibilità individuale degli psicologi coinvolti in queste iniziative, ma all’intera professione. Quando la psicologia viene trattata come un prodotto da consumare velocemente e facilmente, si perde di vista il suo vero scopo: quello di accompagnare l’individuo in un percorso di crescita, di cura e di consapevolezza, partendo dalle sue esigenze uniche e profonde. Questo tipo di approccio svuotato ha effetti devastanti non solo sull’immagine della professione, ma soprattutto su chi realmente ha bisogno di aiuto psicologico, confuso da questi messaggi superficiali e fuorvianti che riducono la storia di ognuno di noi a apriori. L’iniziativa dello “psicologo in spiaggia” non è un atto di altruismo o di sensibilizzazione, ma un’operazione commerciale e mediatica che sfrutta la vulnerabilità delle persone per guadagnare visibilità. È una manipolazione travestita da buona intenzione, che contribuisce a creare una distorsione della realtà riguardo ciò che la psicologia è e ciò che può davvero offrire. È essenziale che gli psicologi, sia online che offline, mantengano l’integrità della professione e agiscano sempre con responsabilità. La psicologia non è un gioco da fare sotto l’ombrellone o un contenuto da condividere per accumulare like. Gli psicologi devono educare la cittadinanza a riconoscere la differenza tra vera informazione e semplici slogan. La salute mentale merita rispetto e, soprattutto, serietà. La psicologia non può essere ridotta a “un gioco” da spiaggia. La professione merita un trattamento serio, che rispetti la dignità e le necessità di ogni individuo. È fondamentale che chi esercita questa professione difenda con determinazione il proprio valore e il proprio ruolo, per evitare che l’immagine della psicologia venga compromessa da iniziative inautentiche e manipolatorie.
1 commento
Bellissimo articolo! Pienamente d’accordo con lei, quando ho iniziato il mio percorso insieme a lei ho trovato una persona seria e professionale, seppur accogliente e disponibile, che mi ha guidato passo passo in tutte le fasi del mio percorso,per questo dico che bisognerebbe affidarsi a veri professionisti come lei e non a “fenomeni da baraccone”! Il percorso psicologico è una cosa seria e spesso difficile da intraprendere non ci si può scherzare o essere leggeri.Per quanto mi riguarda affiancherei la figura dello psicologo al pediatra,e poi da adulti al medico curante,perché sono figure essenziali per lo sviluppo sano degli individui! Sicuramente sarei cresciuta con meno fragilità e insicurezze. Comunque grazie dottore le sarò sempre grata per il suo aiuto!